Tregua – Mt 5,1-12

Tregua – Mt 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».

Probabilmente uno dei desideri più grandi che portiamo dentro è quello di essere forti. Vorremmo resistere alle intemperie della vita a testa alta, mostrandoci sicuri di noi e impenetrabili. Credo sia normale: la vita a volte ferisce parecchio.

Quindi che ce ne facciamo della dimensione della fragilità e del fallimento? Proviamo a buttarla via: la neghiamo, non ci pensiamo sopra, creiamo piccole o grandi strategie per essere sempre meno influenzati da essa.

E qui si cela un grande errore: non è una dimensione eliminabile. Ce lo ha ricordato di recente il coronavirus, ma non serve scomodare pandemie per accorgersi che ogni tanto la vita sottolinea il fatto che la fragilità non è eludibile.

La strategia “I win-you loose” non è utilizzabile, in questo caso. Dà forse dei risultati a breve termine, ma non tiene sul lungo periodo. Quindi? Che alternative ci sono?

Oggi Gesù, con le famose beatitudini, ci presenta un approccio differente. Ci consiglia di non negare le nostra fragilità, i nostri piccoli o grandi lividi della vita, ma di offrirli, di viverli nella fiducia e nella pazienza. Perché è lì, nel luogo della nostra fragilità, che siamo davvero amabili.

Non si ama una persona indistruttibile: la si ammira, la si stima, ma non c’è spazio per amarla. Per amare ed essere amati è necessario accogliere le proprie ferite (senza esaltarle, ma accettandole) e metterle in gioco nella relazione.

Le beatitudini non consigliano nuovi modi per soffrire, ma suggeriscono di guardare con occhi convertiti alle fatiche che già ci sono nella vita, senza inventarsene altre. Nella condivisione, nell’ironia e nella comprensione reciproca sono esattamente quei lati fragili di noi a renderci amabili.

In un parola: beati.

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