Fino alla fine

Fino alla fine

Nell’ultimo capitolo del Vangelo di Matteo, nel brano finale che ascolteremo domenica, solennità della Santissima Trinità (Mt 28,16-20), a resurrezione avvenuta, gli undici si fidano dell’annuncio fatto dalle donne e vanno dove è stato loro indicato, in Galilea, sul monte.

In quella terra dove la loro vicenda di fede aveva avuto inizio, sono invitati a riscoprire un nuovo possibile inizio a partire dalla missione che il Risorto sta per comunicare loro. Vedono Gesù, lo riconoscono ma ancora dubitano: dubitano del fatto che qualcuno possa risorgere, che Gesù sia figlio del Padre, che Dio ami a tal punto la vita da sconfiggere perfino la morte. Dubitano di tutte quelle cose  che anche a noi risultano assurde di fronte alla scomparsa di una persona cara, davanti alla morte di bambini innocenti, sia che guardiamo le tragiche foto di corpi abbandonati sulla spiaggia, sia che leggiamo di come la colpevole cupidigia degli uomini possa creare tragedie anche in una tranquilla giornata di vacanza in riva al lago.

Siamo costantemente oscillanti tra il desiderio di coltivare la speranza e la disillusione che alla fine, comunque, la morte avrà il sopravvento: questa è l’esperienza dell’uomo di fede, l’esperienza di chi si fida di una parola che annuncia salvezza ma che costantemente viene messa al vaglio di fatti e avvenimenti che dicono il contrario.

Perfino nel momento finale, negli ultimi versetti del Vangelo, l’evangelista non rinuncia a metterci di fronte alla questione drammatica del dubbio. Se davanti al Risorto, pur riconoscendone la straordinarietà e prostrandosi, i discepoli dubitano, come potremo non dubitare noi, uomini e donne smarriti di fronte al ripetersi costante delle tragedie del male? Posta in questi termini la questione sembra non avere soluzione.

Il dubbio ci incalza costantemente fino a spingerci sulla soglia della disillusione: i segni della risurrezione, anche se evidenti, sono passeggeri; alla fine rimaniamo soli di fronte al ripetersi di tragedie che ci costringono a chiuderci sempre più in noi stessi.

Pensiamo di trovare in questo ripiegamento le forze per andare avanti e invece troviamo soltanto sempre più solitudine e amarezza.

Dimentichiamo con troppa facilità che anche i segni di risurrezione si ripetono costantemente e Gesù, proprio come nei confronti degli undici, continua ad avvicinarsi a ciascuno di noi e a ripetere le sue parole. In fondo, tutto il Vangelo di Matteo è costruito per confermare quanto dichiarato nel giorno della nascita di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi: lui sarà sempre con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non ci viene annunciato che Dio sarà con noi solo nei momenti lieti e gioiosi. Ci viene detto che sarà con noi sempre, in ogni circostanza della vita perché la vita è, prima di ogni altra cosa, relazione, presenza: chi muore in lui, vive per lui e chi vive in lui sperimenta già, ora, una vita che non può finire.

Il cristiano sa di dover ritornare costantemente a queste parole conclusive del Vangelo di Matteo, per non cedere all’inganno del dubbio che diventa abbandono a se stessi: il Figlio vive della relazione continua con il Padre e lo Spirito e nella resurrezione ha deciso di mettere a disposizione di ogni battezzato l’energia inesauribile di questo legame. Noi viviamo davvero quando respiriamo la forza di questo continuo scambio d’amore che non si chiude in un circolo chiuso ma che si apre ogni giorno alla libera adesione dell’umanità capace di accorgersene.

Il potere di cui parla il Risorto è proprio quello di consentire al cielo e alla terra di stare insieme dentro a questa straordinaria dinamica di amore.

Nei momenti difficili, soprattutto quando il male vorrebbe avere il sopravvento, non basta ricordarsi di tutto questo: il Signore non chiede soltanto di fare memoria; ci spinge ad assumerci la responsabilità  di quello in cui crediamo. Se sentiamo la sua presenza nella nostra vita e sappiamo quanto la qualità di questa relazione ci sia necessaria per non chiuderci in una vita che rischi di girare a vuoto, dobbiamo sentire anche la necessità di annunciare questa verità a ogni uomo. L’invio alla missione che chiude il racconto dell’evangelista Matteo non è solo l’inizio della storia della Chiesa, è anche un preziosissimo insegnamento circa la necessità di affidarsi all’annuncio di quello in cui si crede per sentirlo sempre più vero ed efficace nella propria vita.

Il male non può nulla contro i legami di amore: insegnare agli uomini e alle donne del nostro tempo a vivere secondo le parole e i comandi del Vangelo è la missione che viene affidata a ogni credente per aiutarlo a scoprire, in prima persona, come il Signore non venga meno alla sua promessa di rimanere ogni giorno dentro alla storia. Fino alla fine del mondo lui rimane con noi, pronto ad abitare ogni fine, anche quelle più tragiche e difficili da accettare, per aiutare ogni uomo a non cedere alla tentazione di morire da solo.

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