La vita che c’è – Gv 5,33-36

La vita che c’è – Gv 5,33-36

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato».

«Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato». Gesù ha guarito un paralitico che giaceva presso una piscina a chiedere l’elemosina. Era «infermo da trentotto anni» (Gv 5,5). Da una vita intera. Ma la cosa gli procura delle grane con le autorità religiose: non ha rispettato il sabato; si fa uguale a Dio. Bestemmia.

Gesù desidera rispecchiare il cuore di Dio; vuole esprimere la premura del Padre, il quale opera senza sosta per riscattare i suoi figli perduti, feriti, umiliati da forme di chiusura verso quella vita in pienezza a cui sono destinati e alla quale egli desidera che facciano ritorno. «Il Figlio non può far nulla da sé, ma solo ciò che vede fare dal Padre. Quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa ugualmente». Le opere di Gesù sono una testimonianza potente di quanto Dio Padre desidera e fa insieme a lui.

Nel tempo dell’attesa, finché dura questa storia, ogni singolo gesto di cura per chi è ferito dalla vita; ogni impegno per la difesa o per la riparazione della dignità violata; ogni concreta attuazione della giustizia è seme del Regno che viene, ed è già qui; e ha la forza di testimoniare quella vita rinnovata che già trasforma questo mondo.

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