Buon Natale!

Buon Natale!

Come poter augurare buon Natale a chi non ha nulla, ha chi ha perso una persona cara, a chi vive nella malattia, a chi della guerra subisce le conseguenze letali che trasformano tutti i giorni in tragedia? Come poter parlare di amore e gioia a chi non si sente amato, a chi disprezza la propria vita, a chi non riesce a trovare un senso ai propri giorni?

Impresa apparentemente impossibile se ci si ferma alla dimensione edulcorata e superficiale del Natale visto come festa dei buoni sentimenti. Per tanti, forse addirittura troppi, oggi non è un buon Natale: nulla suggerisce la possibilità di festeggiare, nulla qualifica questo giorno come un momento speciale magari da ricordare; piuttosto l’ennesimo giorno da dimenticare in fretta. Natale può essere un giorno terribile per chi vive di ricordi o per chi è privato della libertà, il giorno più lungo quando manca qualcuno a cui si è rimasti legati per un tratto fondamentale della vita.

Come suggerisce il brano di Luca della liturgia della Notte santa (Lc 2,1-14) dobbiamo per forza cambiare prospettiva, di fronte all’evidenza che per la maggior parte degli esseri umani, questo non sarà un buon Natale, almeno come lo intendiamo noi. Dobbiamo imparare a fare nostra una prospettiva rovesciata che legga le cose dall’alto verso il basso, dalle più grandi alle piccine, dall’insieme al particolare: a Dio interessa stare nella storia, ma non accetta di assecondarne le regole pensate dagli uomini per poterla valutare. Dio sorvola sull’universale fatto di nomi altisonanti, di avvenimenti epocali, per calare come un falco in picchiata, nella storia personale di ciascuno e chiedere ospitalità. Non ama stare in sospeso nei discorsi ufficiali, preferisce planare nella mia storia personale e offrire la sua compagnia senza chiedere nulla in cambio.

Dio sceglie un passaggio preciso della storia, un luogo particolare tra gli altri e un momento inopportuno per assumere la nostra carne mortale: vive l’intero dramma della nostra esistenza senza risparmiarsi nulla. Accetta la tragedia di essere rifiutato senza opporre resistenze: prendendo posto in una mangiatoia per animali chiede di essere accolto come cibo per il mondo.

La drammatica scena del Natale che noi abbiamo ridotto a fondale scenico per un fugace spettacolo di buoni sentimenti è, in realtà, lo sfondo quotidiano per la vita di tutti coloro che sperimentano il dolore, la fatica e l’abbandono: uno sfondo che Dio sceglie di abitare anche per sé e di riempire con la sua gloria in modo che tutti gli uomini possano sentire il suo amore e la sua vicinanza. Gli angeli portano l’annuncio di non temere ai pastori, uomini da nulla, considerati indegni di ogni considerazione sociale: tutti i racconti del tempo di Avvento e di Natale sono un invito a non temere. Cosa vuol dire? Che fino a quel momento era possibile stare di fronte a Dio soltanto temendolo: troppo grande, troppo diverso, troppo altro per poterne condividere in qualche modo anche solo la presenza.

Per poter stare davanti a lui era necessario essere degni, essersi preparati, avere una statura morale adatta. Spesso neppure una lunga preparazione poteva bastare, a meno che non vi fosse una sua precisa scelta, una sua predilezione: ora non più. Dio ha deciso di aiutarci a comprendere che di lui non possiamo avere paura e lo fa attraverso un bambino.

Davanti a un bambino possiamo rimanere tutti, tutti possiamo sostare quanto vogliamo e lasciare che questo segno di vita consoli perfino la nostra disperazione e la nostra solitudine. Il Natale è l’annuncio che ogni uomo e ogni donna sono fatti oggetto dell’amore di Dio.

Almeno questa notte non dobbiamo avere paura: almeno per questa notte accogliamo l’invito a non avere paura di essere noi stessi con quello che siamo. Accettiamo di essere tristi, di sentirci affranti e disperati, accettiamo di essere felici, di sentirci in pace con noi stessi e con il mondo; accettiamo di sentirci fragili e accogliamo come un dono perfino la nostra forza e la nostra autonomia. Ringraziamo per la libertà e gridiamo dalle nostre prigioni: davanti al bambino di Betlemme possiamo essere tutto questo e molto altro, perché di lui non dobbiamo avere paura.

Proprio perché Gesù nasce nel dolore, chi oggi soffre di più ha il diritto di godere di questa visione salvifica, proprio perché il Dio con noi ha scelto di amarci come siamo, oggi nel presepio c’è posto anche per chi piange, per chi si sente indegno, perfino per chi è arrabbiato con Dio. Il Natale non è reso buono dal nostro scambiarci gli auguri e neppure dai nostri gesti di attenzione e altruismo: possiamo dirci buon Natale, perché la nascita di Gesù è il luogo nel quale Dio continua a ripeterci di non avere paura e di non temere la vita. Ecco perché possiamo dire buon Natale anche a chi da questa vita sembra essere ferito a morte e non avere più speranze: il Natale è prima di tutto per loro.

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