La porta delle pecore

La porta delle pecore

Mi sembra di capirli, quei poveri ascoltatori di Gesù che, di fronte all’immagine del pastore che giuda le sue pecore, e le chiama per nome, non capiscono. Forse Gesù si sta sbagliando. Forse non si rende conto che l’immagine che sta utilizzando è più un auspicio per il futuro che una reale constatazione. Chi entra dalla porta viene riconosciuto dalle pecore che lo seguono, mentre chi entra da un’altra parte è un ladro e un brigante, un estraneo da cui fuggire perché non se ne conosce la voce. Ma è davvero così? La prima delle immagini introdotta dal vangelo della IV domenica di Pasqua, anno A; (Gv 10,1-10), sembra essere contraddetta dalla realtà: in Sudan, ad esempio, la strage continua proprio perché è pieno di gente che si fa ingannare dal più forte, dal generale di turno che sembra spacciare sicurezza mentre, invece, semina solo morte. Le voci che sembrano prevalere sono quelle della guerra che genera distruzione e divisione, ma, con amarezza, possiamo constatare come siano seguite da tanti. Certo molte pecore fuggono disperate, ma in questo scenario tragico non sembra esserci spazio per il pastore, anzi cresce la convinzione che i briganti abbiano la meglio. L’esodo biblico a cui stiamo assistendo inermi e anche colpevolmente disinteressati, richiama le tante situazioni dove, con tristezza, dobbiamo ammettere che, se anche il pastore si manifesta, i più decidono di seguire altre voci, generando solo la tragedia di un popolo allo sbando che cerca disperatamente rifugio.

Facciamo fatica ad accettare la metafora di Gesù perché non la sappiamo leggere dall’interno e crediamo che riguardi la descrizione di una realtà che non esiste e quindi ci risulta impossibile. Come ai discepoli che non capiscono, però, anche a noi viene offerta non un spiegazione teorica, ma una seconda immagine ancora più forte e che ci spinge a cambiare prospettiva.

Gesù si presenta non più come uno da seguire, ma come una porta da attraversare: se vogliamo entrare in noi stessi per riuscire ad essere rigenerati al mondo e aprirci alla vita, abbiamo bisogno di attraversare una porta che non può essere elusa: qui non si tratta più di mettersi alla sequela di un maestro con il rischio di lasciarsi abbindolare da qualche brigante o malfattore, eventualità che peraltro Gesù stesso ci aveva già presentato parlando anche del pastore; ora è necessario comprendere che chi si vuole misurare seriamente con il Vangelo deve passare attraverso la relazione con lui: non ci sono altre possibilità. Essere pecore è la condizione per vivere da discepoli e le pecore sono quelle che entrano ed escono dalla porta, quelle che riconoscono dove trovare riparo in inverno, quando la vita si accanisce, ma che sanno anche uscire in estate per andare a trovare il pascolo di cui hanno bisogno.

Vivere da pecore, allora, vuol dire riconoscere che solo chi passa attraverso la porta è degno di fiducia, tutti gli altri sono malfattori intenzionati soltanto a curare i propri interessi e a generare un qualche profitto per sé e per il proprio gruppo di appartenenza. Gesù allora ci sta semplicemente dicendo che siamo pecore soltanto quando seguiamo lui, quando riconosciamo la sua voce.

Nei disordini del mondo, ma anche nei piccoli disordini quotidiani delle nostre esistenze, si generano confusione e disperazione proprio perché sappiamo che stanno prevalendo altre voci, ma che non sono quella giusta, l’unica del pastore.

Il Vangelo ci invita ad essere abbastanza scafati da riconoscere che nel mondo possono esserci tanti briganti e malfattori, ma che affinando la nostra capacità di ascolto ci è data la possibilità di non perderci dietro a voci inutili. Il pastore continua a parlare, continua ad invitarci a seguirlo per diventare sue pecore. L’alternativa non è quella di diventare pecore di qualcun altro, ma quella di diventare anche noi ladri che contribuiscono a generare frutti di dispersione.

Rimanere pecore anche quando non si sente più la voce del pastore, anche quando prevale il rumore della guerra, è l’unico modo per creare le condizioni vere di riconoscere la porta attraverso cui passare per ottenere rifugio.

Insieme ai tanti disperati della terra, abbandonati a se stessi, anche noi, quando la disperazione ci attanaglia e ci sentiamo soli, non perdiamo mai la nostra identità di pecore a patto che non cediamo alla tentazione di dare credito alle voci che ci invitano a uscire dalla finestra, o peggio ancora a buttarci a capofitto dal balcone della nostra vita.

Il Vangelo, anche questa domenica, ci sorprende: da una situazione iniziale in cui sembra dipingere qualcosa che non c’è e che appare più una previsione del tutto da verificare, in realtà dimostra di parlare della realtà dentro alla quale anche noi siamo immersi, quella realtà che siamo invitati a rileggere alla luce della sua presenza. «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

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