
Pastore
Per questa quarta domenica del tempo di Pasqua anno C, la così detta domenica del Buon Pastore, la liturgia ci offre pochi versetti del vangelo di Giovanni (Gv 10,27-30): versetti assai densi che mettono in luce in maniera chiara e inequivocabile il legame tra Gesù e il Padre e la possibilità di entrare a pieno in questo legame che dona la vita vera qui e per l’eternità, offerta a tutti coloro che ascoltano la voce del pastore. Meglio ancora che riconoscono nella voce di Gesù quella del pastore che conduce le pecore, le nutre, le protegge, è disposto a dare la vita per loro affinché possano vivere per l’eternità.
L’antica immagine del pastore che conduce il suo popolo, immagine ben radicata nella tradizione biblica e normalmente attribuita a Dio che conduce Israele, trova in Gesù motivo di conferma: davvero Dio non smette mai di cercare l’umanità che sente suo popolo, al di là dei rifiuti e delle incomprensioni, al di là degli allontanamenti e dei tradimenti. Il dono del Figlio come pastore vero e presente nella storia, diventa la conferma definitiva di un legame che non può essere spezzato, conferma ultima del desiderio del Padre di riportare a sé anche i lontani e dispersi.
Quelli che già ascoltano la voce del pastore e la riconoscono come fonte di vita, devono restare tranquilli perché nessuno potrà strapparli dalle mani di Dio. Esiste un male che cerca di portarci lontano dal bene, ma la ferma convinzione espressa da Gesù in questi versetti, che il Padre è il più grande di tutti, deve fare crescere in noi la convinzione che la nostra vita è una vita custodita e non una vita perennemente in bilico tra opposti principi che cercano di prevalere. Il male non può nulla contro la voce del pastore e le pecore devono soltanto affinare quella straordinaria capacità che le contraddistingue, quella di riconoscere, tra le tante, la voce unica e inconfondibile di chi davvero si prende cura di loro.
Potrà capitare di allontanarsi, di vivere lo smarrimento della solitudine, perfino il dramma del peccato, ma se si è fatta esperienza della voce del pastore, questa continuerà a risuonare come eco nostalgico nel nostro cuore, fino a quando non tornerà a farsi sentire concreta e presente nella nostra esistenza.
Gesù e il Padre sono una cosa sola, per questo chi fa esperienza del Figlio entra anche nella vita del Padre: il loro essere uno non esclude ma incorpora, rende partecipi, allarga a tutta l’umanità la possibilità di vivere seguendo qualcuno che ci vuole partecipi di un amore che non si esaurisce mai.
Se ascoltiamo davvero la sua voce, nessuno ci potrà strappare dalla relazione con lui e attraverso questa relazione arriveremo a conoscere il Padre: basta avere ascoltato la sua voce anche solo una volta, averla sentita vera nella profondità del proprio cuore, per potere riscoprire in ogni momento, anche nei peggiori, la possibilità di tornare a questa relazione che ci dona vita.
Le pecore, che non brillano per intelligenza, si salvano ogni volta che ascoltano la voce del pastore: il fatto di saperla riconoscere tra mille, le tira fuori dai guai, le riporta ai pascoli, le rimette sulla strada percorribile che dona sicurezza e riparo. Dobbiamo allora chiederci se sappiamo riconoscere la voce di chi ci vuole condurre, la voce del Signore che aspetta di essere risvegliata nei nostri cuori, magari proprio a partire dalla voce e dalle parole di chi, appena fatto pastore, si è messo a servizio di una chiesa chiamata a risvegliare nei cuori la nostalgia di un bene profondo che ha un nome e un volto, quello di Gesù Cristo.
Da papa Leone tanti si aspettano qualcosa, il vangelo soltanto che in lui sia possibile riconoscere l’immagine vera dell’unico pastore che ci vuole condurre a una relazione possibile e vera con Dio: in fondo, la cosa di cui abbiamo tutti più bisogno.