
Figlio – Gv 15,9-11
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
In questo piccolo testo per tre volte ritorna la parola “rimanere”. Questo verbo richiama la stabilità. E può suscitare angoscia, come quando ci manca l’aria perché è esattamente il contrario rispetto allo stile che abbiamo assunto e che riesce a tenere a bada tanti lati oscuri della nostra vita. Correre ci aiuta a non pensare. Fermarsi ci costringe a farlo.
Rimanere può anche richiamare il posto fisso, la realtà imperturbabile che non disturba e non sconvolge continuamente i programmi e la vita. É la famosa pace che cerchiamo in molti. La pace del defunto. La tranquillità priva di vita e che obbedisce ai nostri poveri programmi e ai nostri ridicoli capricci.
Rimanere. Gesù non ci invita a una tranquillità che può farci paura o farci comoda. No. Gesù ci invita a non abbandonare mai la relazione che dà sostanza, nome, identità, consistenza, forma, valore… alla nostra vita: la relazione con il Padre. In quella relazione noi viviamo, ci comprendiamo, cominciamo a capire chi siamo, a sapere il valore della nostra vita, la grandezza del nostro nome.
Rimanete in questa relazione e poi accada quel che accada. Non ci sarà mai nulla che potrà spegnere la gioia che viene dal regalo di essere figli di Dio.
Rimanere è come chi ha fatto centro. Ha capito la soluzione. Conosce il segreto. Ha la chiave giusta. Ha trovato. È arrivato al cuore.