
Tutto bene!
La memoria fa brutti scherzi. Ricostruire le vicende del passato è sempre molto complicato, lo è sul piano personale, dove spesso i ricordi si accavallano e si confondono anche senza volerlo, lo è in riferimento ai fatti di cronaca che chiedono di arrivare a una qualche verità giudiziaria, basti pensare al fatto che dopo molti anni si discute ancora animatamente attorno a vicende come il delitto di Garlasco. Ricostruire le vicende della storia chiede sempre la consapevolezza da parte del ricercatore di stare lavorando su documenti che chiedono di essere interpretati e che, proprio per questo, hanno sempre un margine che li allontana dalla piena verità che li ha prodotti. Con ragionevolezza ci pare che ci sia sempre qualcosa che ci sfugga nel nostro modo di leggere il passato e questo si riflette inevitabilmente sul nostro presente e sul modo di programmare il futuro.
Abbiamo ragione a sentirci incompleti e sempre parziali di fronte alla vita: parole come sempre, ogni, tutto, sono affascinanti ma difficili da rendere concrete; spesso ci sembrano perfino al di fuori della nostra portata.
Eppure sono proprio queste le parole che Gesù utilizza nel vangelo di Giovanni che preghiamo in questa solennità di Pentecoste (Gv 14,15-16.23-26): in pochi versetti presi dal capitolo quattordicesimo, nel momento del saluto ai suoi nel contesto dell’ultima cena, Gesù parla del dono dello Spirito affermando che rimarrà per sempre e che insegnerà ogni cosa, facendo ricordare tutto quello che Gesù stesso ha detto ai suoi. Ci viene assicurato che esiste una pienezza e una totalità che è già sperimentabile nella vita del credente dove si sia disposti a lasciare lavorare lo Spirito che chiede semplicemente di essere accolto.
Il Paraclito è il nostro avvocato, colui che ci difende dalle accuse del male, colui che viene donato perché ci ricordiamo della nostra realtà di figli amati, identità che ci è stata rivelata dall’amore stesso che Gesù riceve dal Padre e offre a ciascuno di noi. Grazie allo Spirito entriamo nella vita della Trinità e sperimentiamo tutta la bellezza del vivere in relazione, sentiamo di essere fatti per stare in relazione. Queste realtà passano attraverso la consapevolezza dell’amore che in Giovanni è sempre il vero strumento di conoscenza: amare vuol dire conoscere Dio.
Ricevendo il dono dello Spirito ci apriamo anche alla vera conoscenza di noi stessi, iniziamo a sentire che siamo fatti per l’infinito, che attraverso le relazioni stiamo camminando verso la pienezza dell’esistenza e che ogni giorno ci viene consegnato non come tempo sottratto alla vita, ma come tempo che viaggia verso il compimento che cerchiamo.
Chiedendo e accogliendo lo Spirito facciamo memoria delle parole di Gesù e riusciamo a ripercorrere il senso della sua storia e presenza nella nostra vita: senza lo Spirito tutto appare frammentato e parziale. Fare discernimento, allora, non vuol dire capire cosa devo o posso fare nella vita: fare discernimento vuol dire aprirsi alla possibilità di partecipare al progetto d’amore di Dio per questa storia e questa umanità. Riconciliarsi con la memoria chiede di sentirsi in sintonia con una storia di fede che ci precede e ci accompagna: siamo chiesa perché possiamo fare memoria insieme di quello che Gesù continua a consegnare a tutti allo stesso modo. Come ha pregato per i discepoli così continua a pregare per ciascuno di noi affinché il Padre doni lo Spirito: qui non c’è distinzione di spazio o di tempo, qui non c’è differenza tra chi ha camminato in Palestina ai tempi del Gesù storico, o chi cammina, oggi, per le nostre strade.
Nello Spirito a tutti viene donata la possibilità di sentirsi parte di un popolo che cammina nel tempo ma che sente già odore di eternità.
Parole come tutto, ogni, sempre non possono mettere a disagio chi crede alla possibilità di invocare un dono che riempie la vita.
Pentecoste vuol dire risvegliare nella chiesa, ogni anno, la memoria del dono che ne costituisce l’identità, riconoscendo che ogni sua parola è il tutto di cui abbiamo sempre bisogno.