
Ricchezza
Cosa c’è da lodare nell’azione dell’amministratore disonesto di cui si parla nel vangelo di Luca della XXV domenica del tempo ordinario (Lc 16,1-13)? Qual è la scaltrezza di cui Gesù parla?
In questi giorni in cui l’umanità si sta lasciando andare a una sorta di abbruttimento generalizzato di fronte alle tragedie di guerre che ci paiono sempre più vicine agli occhi, ma sempre più lontane dal cuore, abbiamo letto e ascoltato, purtroppo, un ministro dello stato d’Israele fare delle dichiarazioni agghiaccianti sulla possibilità che Gaza diventi un grande affare immobiliare e commerciale. Dove i beni e la possibilità di guadagno vengono considerati più importanti delle persone, addirittura tanto da diventare uno dei motivi di fondo per giustificare la morte di migliaia di persone innocenti, vuol dire che si è già superato un punto di non ritorno. Con buona pace di chi ha sempre la parola Dio sulle labbra, non si può servire Dio e la ricchezza allo stesso modo. Il vangelo è chiaro a riguardo: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Se non siamo in grado di gestire i beni che vengono da una disonesta ricchezza chi ci affiderà quelli veri?
Le ricchezze di cui disponiamo non ci sono messe a disposizione perché si autoalimentino producendo altre ricchezze a scapito dei più poveri: il senso profondo dell’avere dei beni a disposizione è che impariamo a usarli per investire in relazioni. Questo ha capito finalmente l’amministratore disonesto del vangelo: dopo aver accumulato beni a dismisura alle spalle di chi doveva amministrare, si rende finalmente conto che questo non gli ha garantito nulla. Quello che gli manca davvero è avere qualcuno che lo accolga, una serie di relazioni che lo facciano sentire vivo e umano. I beni vanno messi in circolo perché altri ne possano usufruire, perché diventino strumenti di relazione e non oggetti di sopraffazione.
La parabola, pertanto, non va letta in chiave moralistica: non interessa quello che l’amministratore disonesto mette in atto in sé, interessa specificare che esiste un modo intelligente, umano e buono di servirsi delle cose per creare legami e proprio questi legami sono quelli che danno ragione piena della nostra esistenza.
La ricchezza vera di cui parla Gesù ha a che fare con il vangelo, con la sua parola, con la parola di Dio che viene consegnata agli uomini perché dischiuda loro la via della salvezza e della felicità. Se però non abbiamo neppure capito cosa fare dei beni che abbiamo a disposizione e continuiamo a usarli per il male e per costruire patrimoni e ricchezze che si fondano sulla distruzione della vita degli altri, alla domanda di Gesù: «Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?» rimane una sola e possibile risposta: «Nessuno!».
Il risvolto drammatico del nostro rapporto con le cose sta tutto qui: nella possibilità di non capire che i beni in sé non valgono nulla se non sono messi a servizio della costruzione di legami più umani e umanizzanti. Se non ci interroghiamo su questo con onestà e decisione a cosa serve tutto il nostro progresso, tutte le nostre tecnologie, tutte le nostre conoscenze? A quanto pare, a diventare sempre più brutti e sempre più tristi, indifferenti al dolore degli altri, sempre più lontani dalle ricchezze vere di cui avremmo tutti davvero bisogno.