Coraggio del futuro – Lc 9,18-22

Coraggio del futuro – Lc 9,18-22

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Le tre interpretazioni della figura di Gesù che danno «le folle» sono accomunate da una caratteristica: riguardano tutte il passato. Giovanni il Battista, il profeta Elìa (scomparso su un carro di fuoco e mai morto, secondo la tradizione ebraica), uno degli antichi profeti: Gesù viene interpretato come una figura del passato. O, al massimo, come un ritorno di qualche tipo, riveduto e corretto.

Facciamo spesso – forse sempre – così. Interpretiamo ciò che ci capita usando gli schemi che abbiamo assimilato dal passato. E forse non è possibile fare diversamente. Le cose del presente e del futuro divengono comprensibili come riflessi, eco, riproposizioni di cose passate. Però tutto ciò comporta un rischio: i nostri schemi, così facendo, intrappolano la possibilità di novità del futuro. E il vangelo, la bella-novità, diviene, così, un bel-ricordo-che-torna.

La risposta che dà Pietro ha un sapore diverso: «il Cristo di Dio». Ovvero: Pietro si apre alla novità che non ha mai visto. Si pone in un ascolto obbediente (cioè dal basso, umile), senza pretendere di capire completamente ciò che ha davanti, ma resta in un atteggiamento di disponibilità, che si nutre di fiducia e di attesa. Pietro, in poche parole, spera. E, così facendo, libera il futuro e la sua fantasia.

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