
La livella
La prima grande e buona notizia che troviamo nella famosa parabola del povero Lazzaro, raccontata da Luca nel brano del vangelo di questa XXVI domenica del tempo ordinario (Lc 16,19-31), è che sia il povero Lazzaro che il ricco sono destinati a morire: Totò avrebbe parlato della morte come della livella, quella realtà che accomuna tutti e che riconduce ogni disparità sociale a una misura più ragionevole e accettabile. Esattamente quello che oggi sembra impossibile, nella misura in cui i ricchi si sentono immortali, proprio come l’uomo all’inizio della parabola, mentre i più poveri hanno la percezione che il proprio passaggio su questa terra verrà dimenticato e ignorato rapidamente. La parabola, nella sua semplicità sconcertante, ci ricorda, invece, che i ricchi, per quanto possano accumulare e godere delle proprie ricchezze, sono destinatati a morire anche loro e che dovrebbero imparare a ricordarselo.
La seconda buona notizia è che Dio non è indifferente a quello che capita nella storia degli uomini: non è questione di vendetta, si tratta semplicemente di giustizia. Nella sua misericordia anche il ricco non smette di essere chiamato figlio, ma quello a cui è destinato dipende da come ha inteso la sua vita ed è segnato per sempre dal suo stesso egoismo che lui ha scelto per sé, pur avendo la possibilità di intraprendere altre vie e fare altre scelte.
La terza buona notizia riguarda il fatto che, come il ricco di fronte ad Abramo viene invitato a ricordare, così, in realtà, ogni ascoltatore saggio viene invitato a farlo: ricordare il motivo per cui ci sono stati affidati dei beni è apertamente un invito alla responsabilità e a riscoprire che la nostra posizione nel mondo dipende sempre e comunque da quella degli altri.
La quarta notizia positiva è che nessuno è destinato a finire in un luogo di tormento se non lo desidera; ma desiderare la felicità per sé non basta, bisogna anche imparare a desiderarla per gli altri perché si possa realizzare davvero. A un certo punto ci sarà qualcosa di eterno e definitivo da cui non sarà più possibile tornare indietro, ma la vita ci è data, appunto, per prepararci al meglio per questo momento: finché c’è vita ci sarà sempre data la possibilità di scegliere il bene.
L’ultima bella notizia ha a che fare con il fatto che la salvezza non è un percorso esoterico, accessibile solo a qualcuno o ai migliori: quello che ci serve ci è già messo a disposizione, non c’è nulla da guadagnare o da ottenere con le nostre forze, basta solo ascoltare una parola che, nella sua evidenza, ci è già posta sotto agli occhi. Nessuna apparizione, nessuna magia utile soltanto a smuovere un po’ di emotività a corto raggio, ma una parola franca e decisa che ci insegna come vivere e che illustra quali percorsi mettere in atto per arrivare ad avere un nome con cui essere riconosciuti per sempre nella nostra unicità di figli amati.
La parabola ci viene raccontata perché impariamo ad ammettere con semplicità e onestà che abbiamo già tutto quello che ci serve per arrivare alla vita eterna, basta ascoltare e, grazie a questo ascolto, imparare ad aprire gli occhi sulle povertà e le tragedie degli altri. Non lo vogliamo fare perché ci sentiamo abbastanza sicuri delle nostre ricchezze o, al contrario, perché abbiamo paura di poterle perdere? Perderemo anche la nostra identità, un po’ alla volta, senza accorgercene, per sempre.
Oggi, davanti ai bambini che muoiono nella follia della guerra, mi sento sempre meno me stesso, ma forse ho ancora tempo per trovare il modo di poterli riabbracciare quando non avrò più tempo e la morte avrà fatto semplicemente il suo corso, per me come per tutti i potenti e i ricchi della terra.