Vado o non vado? – Lc 14,15-24
In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
Questa parabola mi disturba: non mi piace l’immagine di un Dio come questo padrone di casa, adirato e un po’ vendicativo; forse perché il suo è un comportamento molto simile a quello che avremmo noi, nella stessa situazione.
D’altra parte, come leggiamo nella lettera agli Ebrei, Dio, da buon padre, ci corregge perché ci ama (cf Eb 12,5-7) e ogni correzione, per quanto spiacevole, «arreca un frutto di pace e di giustizia» (Eb 12,11). Attraverso questa lente, allora, noto alcuni dettagli.
Il primo è che Dio non ama la solitudine, ma ci desidera con Lui per condividere la sua gioia, e non è contento finché la sua casa non è piena.
Il secondo è che non ci sono requisiti particolari per essere ammessi alla sua festa: anche poveri, storpi, ciechi e zoppi possono entrare, cioè assolutamente tutti, basta accettare l’invito.
E il terzo dettaglio è proprio la libertà che ci è lasciata nell’accettare o rifiutare l’invito di Dio. Libertà che però non è priva di responsabilità, perché il rifiuto ha come inevitabile conseguenza l’esclusione definitiva dalla gioia della festa; non per “cattiveria” di Dio, ma per scelta nostra.
E dunque, qual è la mia risposta all’invito del Padre ad entrare in relazione con Lui? Troverò anch’io altre cose più “importanti” a cui dedicarmi, oppure saprò lasciarmi conquistare con stupita gratitudine da questo Dio così desideroso della mia amicizia?



