Perdere e mantenere – Lc 17,26-37

Perdere e mantenere – Lc 17,26-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti.
Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.
In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.
Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.
Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata».
Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».

Certo il vangelo, ogni tanto, ci riserva delle pagine “di fuoco”, dure da leggere e da comprendere! Quella di oggi può decisamente venire annoverata in questa categoria. Si tratta di un genere letterario che all’epoca di Gesù conoscevano bene: quello apocalittico. Gesù sta parlando, verso il finire del suo ministero pubblico, dell’«ultimo giorno».

Prima di tutto, siamo invitati a liberare la mente da immagini holliwoodiane ricche di elaborazioni grafiche e di effetti speciali computerizzati. Possono servire a vendere al botteghino (il tema della fine del mondo ha sempre attirato spettatori), ma non è mai stato questo l’intento di Gesù.

Oggi mi colpisce particolarmente il centro di questo vangelo: «chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva». E’ bello vedere come Gesù, maestro di oratoria, sappia utilizzare il genere apocalittico non tanto per parlare del futuro (talmente misterioso da risultare imperscrutabile), ma del presente.

Questo invito, infatti, rappresenta il cuore del messaggio morale del vangelo: donare la vita è il modo per trasformarla, per ritrovarla più autentica. E’ quello che Gesù farà con la sua passione, morte e risurrezione: il dono di sé che diventa «fonte di vita eterna».

In fondo, è la logica paradossale del vangelo. E qui noi subito a fraintendere di nuovo: ma cosa significa donare la vita? Ci sembra qualcosa di assoluto, di bellissimo e di purissimo. E, pe questo, lontanissimo.

No. Mi piace pensare che donare la vita significhi mettere in atto quei piccoli gesti che tanto ci pesano, ma che sono alla nostra portata: ascoltare una persona che riteniamo noiosa, sorridere un po’ di più (anche dietro la mascherina!), chiedere scusa una volta in più, svolgere bene il nostro lavoro…

Donare la vita non è una cascata in piena, improvvisa. E’ più un rubinetto che perde, goccia dopo goccia. Donare la vita lì dove siamo, esattamente dove il Signore, oggi, ci sta accompagnando, nelle nostre azioni quotidiane, come il vangelo di oggi descrive. Anche «lavando» o facendo i propri lavori si può decidere di farlo come dono o come possesso.

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