Messaggi e messaggeri

Messaggi e messaggeri

Ci avviciniamo al Natale e a tutti farebbe piacere ricevere qualche messaggio di auguri: i più romantici pensano subito a una lettera o a un biglietto, ma anche chi ha una visione più prosaica della vita sarebbe contento di ricevere almeno una mail o, in mancanza d’altro, un messaggio via WhatsApp. Basta che non sia pensato per un gruppo ma che sia personalizzato!

Ci aspettiamo che almeno le persone che ci sono care si ricordino di noi e rimaniamo piacevolmente sorpresi dal fatto che qualcuno, a cui non pensiamo da tempo, si sia preso la briga di scrivere qualcosa per noi. Forse ci accontenteremmo anche di qualche espressione di vicinanza e amicizia attraverso i social, un po’ come per il compleanno, quando tutti si ricordano di mandarci un messaggio perché avvisati dall’immancabile notifica proveniente in automatico dai nostri profili.

Ma cosa succederebbe se, come capitato questa settimana, proprio durante i giorni di festa, Google facesse le bizze e non recapitasse più le nostre comunicazioni e magari, a seguire, anche tutti gli altri strumenti di comunicazione subissero un blackout tale da lasciarci nell’incertezza che nessuno si ricordi di noi?

Saremmo costretti a riscoprire altre vie per sentirci più vicini e non potremmo fare altro che affidarci al pensiero, all’immaginazione, a ripercorrere con la memoria i lineamenti dei volti e a recuperare quelle parole che ci hanno fatto bene, a cui sentiamo il bisogno di tornare proprio nei momenti in cui ci sentiamo più soli e forse anche meno compresi.

Non è facile affidarsi con fiducia alla potenza del pensiero, alla forza buona di una memoria che ci invita a tenere vivi i legami al di là della presenza e di una comunicazione spesso troppo superficiale e frettolosa a cui ci affidiamo normalmente.

Bisogna allenarsi a sviluppare questo tipo di visione ma avere anche la convinzione che altri sentano la straordinaria potenzialità di tutto questo.

Da un lato la comunicazione oggi è elemento indispensabile per ogni realtà aggregativa che desideri darsi forma e struttura. Dall’altro, però, rischia di diventare la facile scorciatoia dentro la quale ci rifugiamo tutti, per dirci che non abbiamo più tempo per coltivare la nostra interiorità e quel necessario spazio di silenzio quotidiano che ci possa aiutare a vedere che non siamo mai del tutto  soli, se davvero lo vogliamo riconoscere.

C’è una solitudine cattiva, che tanti oggi stanno sperimentando sulla propria pelle, ma c’è anche una solitudine buona che dobbiamo imparare a coltivare se vogliamo riscoprire la potenza dei legami profondi che strutturano la nostra vita.

Maria, piccola donna di una città della Galilea chiamata Nàzaret, secondo il racconto di Luca (Lc 1,26-38) che ascolteremo nella quarta domenica di Avvento, non riceve un semplice messaggio. Riceve una chiamata alla gioia attraverso la visita di un angelo, un messaggero: qualcuno che la conferma nella bontà infinita del suo legame con quel Dio a cui lei è disposta ad affidare la vita.

Maria è sola quando accoglie la visita dell’angelo: chissà quanti altri momenti di solitudine avrà vissuto prima di questo incontro, chissà come avrà imparato ad abitarli con fiducia, coltivando la potenza di un pensiero che ricorda e fa memoria del bene ricevuto e allo stesso tempo desidera con impazienza alimentarsi all’incontro con l’altro. Maria riconosce l’angelo e infatti non ha paura; rimane turbata dal suo saluto, ma non ha paura di colui che le parla a nome di quel Signore che già lei frequenta abitualmente nella sua solitudine.

Maria sa di essere desiderata e ricercata, sa di non aver bisogno di piccole gratificazioni perché si è allenata a vivere di altro, a nutrirsi di quella grazia che le permette perfino di non stupirsi di fronte a un angelo. Il suo turbamento non nasce dal sentirsi inadeguata o piccola e sola di fronte alla manifestazione straordinaria del divino; nasce dalla necessità di capire cosa comporti per la sua vita fare spazio alla presenza di un Dio che chiede di rimanere con lei.

Il racconto della prodigiosa nascita che la riguarda, le modalità della sua realizzazione attraverso l’opera dello Spirito, ma anche il riferimento alla nascita che toccherà l’anziana parente Elisabetta, non sono prove convincenti per chi non si è abituato ad una immaginazione che sa andare oltre il contingente.

Maria ha potuto esprimere il proprio sì e la propria adesione all’assurdo progetto di Dio non perché convinta dalle parole dell’angelo o perché si sia sentita obbligata da ciò che di strano le stava capitando. Ha potuto dire il proprio “eccomi” in virtù di un amore frequentato, desiderato e incontrato ogni giorno: un amore che l’ha resa libera e capace di intendere che, in fondo, è solo nella libertà che possiamo incontrare davvero Dio.

Maria, nei suoi silenzi, ha saputo immaginare di non essere mai veramente sola e per questo ha riconosciuto Dio al suo passaggio. Ha saputo sintonizzarsi su una realtà inimmaginabile e riconoscere una parola tutta per lei, una parola che in lei si fa carne per entrare nella storia di ogni uomo.

Questo Natale non chiede di essere “salvato” da quello che stiamo attraversando: come sempre si propone come occasione di salvezza affinché recuperiamo l’abilità dello spirito di riconoscere che Dio non manda gli auguri una volta all’anno, ma che desidera abitare ogni nostra solitudine, sempre, in ogni stagione della vita. Guardando a Maria, allora, non lasciamoci spaventare dai momenti di solitudine che attraverseremo nei prossimi giorni: sarà bello ricevere messaggi di auguri, ma molto di più coltivare nel silenzio la speranza di essere davvero amati di un amore unico e speciale, un amore che ci faccia riconoscere perfino il passaggio di un angelo.

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