Passeggiata all’imbrunire

Passeggiata all’imbrunire

Il tema dominante della liturgia a cavallo tra le ultime domeniche dell’anno e la prossima domenica, prima di Avvento anno C (Lc 21,25-28.34-36), è sicuramente la paura. Non come si potrebbe pensare, visto il tono apocalittico, in riferimento al fatto che ci saranno segni e realtà così terribili da annunciare un tempo in cui gli uomini moriranno per la paura, ma in relazione al desiderio di Gesù di liberare i suoi uditori dagli effetti di una vita consegnata alla paura.

In questi giorni ascoltiamo continuamente notizie che aumentano terribilmente il livello di ansia sociale nel paese: tornano a salire i contagi e le ospedalizzazioni, sempre in aumento le tragedie di tipo climatico, non accennano a diminuire i tragici casi di femminicidio e purtroppo si continua a morire con assurda regolarità perfino sui posti di lavoro. L’elenco potrebbe continuare e avrei cercato altre notizie del genere se, scorrendo le prime pagine dei siti di informazione, non mi fossi imbattuto in un blocco consistente di notizie riguardanti il black-friday e altre amenità del genere. Ma come? Con tutto quello che succede, la preoccupazione delle prime pagine dei principali giornali nazionali può essere davvero quella di informare sulle diverse occasioni di acquisto?

In maniera piuttosto cinica si potrebbe rispondere che si tratta semplicemente di sostenere la ripresa dell’economia di cui abbiamo tutti bisogno, ma in realtà le cose non stanno così.

Di fronte alle realtà che ci fanno paura e ci mettono angoscia, esistono diversi atteggiamenti possibili, in fondo, però, riconducibili ai due di cui ci parla il Vangelo di questo inizio Avvento: o chiudere il nostro cuore in dissipazioni, ubriachezze e affanni, o alzare il capo, convinti che ci sarà una liberazione che non tarderà ad arrivare.

Come possiamo constatare da noi stessi ogni giorno, l’elenco di avvenimenti di cui ci parla il Vangelo, riguarda la storia di ogni generazione e quindi anche della nostra: ogni realtà avrà una fine e per quanto ci affanniamo, anche la nostra vita si concluderà. La paura della morte cova come le braci sotto la cenere e per quanto facciamo di tutto per spegnerla, ritorna costantemente a sfavillare ogni volta che le nostre sicurezze vengono messe in discussione.

Che risposta dare? Cercare un po’ di conforto in qualche acquisto compulsivo? Spegnere il cuore affogandolo in forme forzate e massive di divertimento? Accontentarsi che almeno il Natele quest’anno possa salvarsi, dimenticando che in realtà, ogni anno e da sempre, è il Natale che ci porta la salvezza?

Il rischio di stordirsi nell’elenco di cose da fare e da organizzare per scappare alla paura è sempre dietro l’angolo: sarà purtroppo ancora più terribile il momento nel quale una qualche tragedia ci colpirà nella nostra totale inconsapevolezza. Sarà esattamente come dice Gesù, parlando del giorno che ci piomberà addosso all’improvviso trovandoci del tutto impreparati. Questa sarà la vera tragedia. L’immagine del laccio che si abbatte su ogni uomo racconta di qualcosa di imprevedibile e improvviso, qualcosa che avrà queste caratteristiche perché gliele avremo assegnate noi con la nostra imperizia e la nostra incapacità di stare a testa alta dentro la storia dei nostri giorni.

Risollevarsi e alzare il capo vuol dire, prima di tutto, recuperare la posizione propria dell’uomo e della donna che affrontano la vita conoscendone i limiti ma apprezzandone anche la straordinaria bellezza: il capo alto è proprio di colui che veglia, di colui che si guarda attorno e che attende di incontrare qualcuno. Pregare e vegliare non vuol dire chiudersi al mondo e pensare a se stessi e alla propria fine, vuol dire, invece, assumere l’atteggiamento di coloro che il mondo lo vogliono abitare con attenzione e fiducia senza cedere il passo a paure che ci facciano perdere il contatto con la realtà.

Tutte quelle notizie di possibili e fantasmagorici acquisti a prezzi stracciati, non mi hanno stupito nella loro affermazione evidente di quello che rappresentano, l’ennesimo trionfo di una prospettiva consumistica dominante. Li ho trovati, nel loro competere con notizie molto più serie allo stesso livello, rivelatori del continuo tentativo dell’uomo di darsi qualche strumento sbagliato per fuggire alla paura di vivere. Ecco, mi pare che il Vangelo di questa domenica ci metta in guardia proprio da questo: non dalla paura in sé, realtà di cui tutti facciamo comunque esperienza, ma dalla possibilità di fare della paura l’unico motore della nostra esistenza. Due giorni fa ho incontrato la mia anziana vicina di casa che usciva dal cancello per andare a fare una passeggiata: era ormai buio, ma questo non le ha impedito di indossare una giacca con inserti catarifrangenti e imbracciare i suoi bastoncini. Salutandola e facendole presente di stare attenta visto l’arrivo dell’oscurità, mi ha semplicemente risposto che troppe persone della sua età, ormai, hanno paura di uscire perfino in pieno giorno. Aggiungendo che raggiunta una certa età non si può più vivere nella paura e che al massimo l’unica cosa che ti può capitare è la morte, si è incamminata salutandomi con un sorriso pieno di speranza. Anche una passeggiata può diventare un modo per alzare il capo e guardare con lucidità dritto avanti a sé.

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