Perfetti, come il Padre vostro celeste

Perfetti, come il Padre vostro celeste

Commentare il brano di questa VII domenica del Tempo Ordinario (Mt 5,38-48) è davvero difficile alla luce delle notizie che continuiamo a raccogliere anche questa settimana; a pensarci bene, è difficile sempre, se consideriamo la distanza siderale che sembra esserci tra la realtà della storia e la proposta evangelica. Potremmo reputarci soddisfatti se venisse rigorosamente applicato il principio dell’occhio per occhio e dente per dente, ma purtoppo così non è: la misura proposta da una mera giustizia retributiva potrebbe già metterci al riparo dal dilagare della violenza cieca che invece sembra scorrere senza limiti in ogni scenario di guerra.

Il Vangelo, però, si spinge oltre, arrivando a prefigurare una prospettiva imbarazzante per la sua ingenuità: non opporsi al malvagio sperando che questa possa essere la soluzione di ogni male, appare francamente una proposta inconciliabile con ogni logica umana. Amare addirittura i nemici e pregare per coloro che ti perseguitano mi pare una prospettiva che non prefigura nulla di buono, nessun cambiamento reale nelle relazioni internazionali, ma spesso neppure in quelle interpersonali: una prospettiva senza senso alla luce della storia, perché è la storia a dirci che nessuna guerra si è mai fermata con l’amore e la preghiera. Saremmo disposti a qualche sforzo in più, nella direzione prospettata dal Vangelo, se solo fossimo in grado di vedere qualche risultato, se solo avessimo la possibilità di confrontarci con le prove che, in fondo, la cosa funziona e porta dei vantaggi a tutti. Invece nessun vantaggio, anzi chi cerca di vivere secondo questa pagina è quasi sempre vessato, maltrattato e ridotto ai margini della storia come evento residuale, prodotto di una idealistica infatuazione per qualcosa che non potrà mai realizzarsi. Basterebbe seguire le vicende del popolo del Nicaragua, se fossimo un po’ meno pigri e capaci di alzare lo sgurdo al di là delle nostre quattro mura domestiche, per avere la prova di quanto il Vangelo vissuto porti alla persecuzione senza generare vantaggi pratici. Il vescovo Àlvarez e come lui tanti alti credenti e cittadini, ha deciso di non accettare l’esilio imposto da un governo dittatoriale e corrotto porgendo l’altra guancia e ricevendo in cambio ventisei anni di carcere. Così va la storia e così è sempre andata visto che Gesù stesso, per aver porto l’altra guancia si è visto mettere in croce. Niente di nuovo, anche se, questa prospettiva senza speranza e pure un po’ cinica, amareggia e toglie il fiato. Dobbiamo pur dirlo che, leggendo in questo modo una delle pagine di Vangelo più famose, si rischia di generare solo frustrazione anche tra i credenti.

In effetti, sarebbe così, se valesse davvero la regola che è utile solo quello che genera un guadagno: in realtà Gesù non ha mai detto che dal porgere l’altra guancia se ne possa ricavare una qualche ricompensa. Quello che ci viene ricordato è che agendo in questo modo, libero e fuori da ogni schema, è possibile recuperare la propria identità di figli di Dio, perché è solo amando anche chi non ci ama che facciamo esperienza di come Dio vive, continuando ad amare tutti e facendo piovere la rugiada della sua misericordia sui giusti e sugli ingiusti.

Il Vangelo ci invita a diventare perfetti in questo amore, perché questa è la perfezione di cui vive il Padre: in altri termini ci vuole aiutare a sentire che noi siamo fatti della stessa pasta di Dio, siamo fatti a sua immagine e, proprio per questo, possiamo essere capaci di un amore fuori dalla misura di ogni giustizia.

L’impossibile diventa possibile perché in noi è già presente un’identità che ci appartiene.

Essere perfetti come il Padre celeste è l’ultima e assoluta provocazione di questa solenne pagina evangelica: va letta però non come un’invocazione a realizzare l’impossibile, ma solo e unicamente nella prospettiva di una possibilità che ci è data dal nostro essere sale della terra e luce del mondo. Veniamo invitati ad agire in un certo modo, contro ogni possibile logica, non per avere qualche vantaggio in cambio o per ottenere visibilità, ma solo ed esclusivamente per riscoprire in noi quella immagine che, nonostante il peccato, non ci abbandona mai, l’immagine di Dio.

Gesù, attraverso queste parole, ci ricorda semplicemente che possiamo vivere da Dio e proprio per questo, imparare una misura diversa delle cose, diversa da quella che ci appare logica. Ecco perché ha senso continuare a parlare di pace mentre tutti fanno la guerra, ecco perché ha senso andare in prigione quando si potrebbe scappare, ecco perché ha senso amare perfino chi mi ha fatto del male: per preparare un futuro possibile che sveli all’uomo un modo diverso di essere pienamente uomo. Se la grande storia è fatta dai potenti, dai dittatori e dai poteri di questo mondo, siamo sicuri che la storia piccola, quella delle cose di ogni giorno e che interessa soprattutto a , non sia scritta in prevalenza da chi porge l’altra guancia e accetta di fare ventisei anni di carcere pur essendo innocente?

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