Anfora di salvezza

Anfora di salvezza

Trascorsi alcuni giorni dalla celebrazione della giornata internazionale della donna, in un contesto in cui il dramma delle donne che in Iran cercano semplicemente di affermare la propria dignità, ci ricorda come la questione della parità di genere sia ancora una ferita aperta nella storia dell’umanità, la III domenica di Quaresima, anno A, ci consegna una delle figure femminili più belle del Vangelo giovanneo, la samaritana (Gv 4,5-42).

L’incontro tra Gesù, affaticato per il viaggio che l’ha condotto fino a Sicar, in pieno territorio samaritano, e la donna che giunge al pozzo in cerca di acqua, nell’ora più calda del giorno, si arricchisce di un dialogo straordinario e denso di particolari. Dialogo che sembra avere un sequel nel confronto successivo sul tema del cibo e della mietitura tra Gesù e i discepoli e, infine, una conclusione nella professione di fede dei samaritani che non credono più per la testimonianza della donna, ma iniziano a credere per aver incontrato la parola diretta del salvatore del mondo. Dunque un brano complesso e articolato, innervato però da un senso profondo di ricerca da parte di tutti i personaggi coinvolti. Gesù, all’inizio, sembra cercare riposo e conforto e dalla sua richiesta di essere dissetato prende piede l’incontro con la donna. I discepoli vanno in città alla ricerca di provviste per il viaggio e alla fine saranno invitati a riconoscere davanti ai proprio occhi la presenza del cibo vero. La donna stessa giunge al pozzo per attingere acqua e nel corso del dialogo dimostrerà, in realtà, di essere alla ricerca di molto altro, ricevendo in cambio acqua che disseta per la vita eterna. I samaritani del villaggio dimostrano, infine, di condividere il senso di ricerca alimentato dalle parole della donna, prima, soddisfatto, poi, da quelle di Gesù.

Tutti cercano qualcosa e tutti trovano risposte attorno al pozzo di Giacobbe dove Gesù ha deciso di sostare.

Tutti scoprono di essere messi in moto da un bisogno ma tutti sono chiamti a riconoscere che ciò che cercano davvero non può trovare soddisfazione in quel bisogno.

Soltanto il bisogno di acqua e cibo, da cui parte Gesù, diventa motore per la ricerca di senso. Per noi il rischio, invece, è quello di trasformare un bisogno in ricerca ossessiva della nostra realizzazione, senza viverlo come occasione per tenere in movimento la nostra esistenza e andare incontro a quella degli altri. I bisogni sono pericolosi, ma sono via necessaria attraverso cui passare se si vuole prendere sul serio la vita.

La samaritana è maestra nell’insegnarci come affidarci a Gesù per mettere ordine nei menadri intricati dei nostri bisogni: accetta di stare al gioco delle domande che la tengono continuamente in equilibrio tra piano della realtà concreta e quello dei valori, accetta di essere continuamente riportata al suo mondo povero e limitato, fatto di fatiche quotidiane, di relazioni non riuscite pieneamente e di una fede parziale e piena di dubbi, per essere stimolata a riconoscere un bisogno di pienezza che in realtà le appartiene da sempre ma che non ha mai avuto il coraggio di riconoscere.

Nel gioco di un dialogo franco, che nulla ha da difendere, questa donna diventa uno degli esempi più luminosi che l’evangelista Giovanni ci propone per articolare il nostro rapporto di fede con Gesù. Non è un caso che questo brano venisse presentato proprio in una delle domeniche in cui avvenivano gli scrutinii dei catecumeni che si preparavano alla celebrazione del battesimo nella notte di Pasqua.

La samaritana ci svela quale postura dare alla nostra fede: ci insegna a non avere paura dei nostri bisogni, riconoscendo però che tra realtà e ideale c’è un cammino da fare che viene affidato al nostro desiderio di pienezza. Ci insegna a lasciarci interrogare dal Vangelo, a non avere timore del fatto che ci sia qualcuno che ci chiede conto della nostra vita, qualcuno che aspetta di incontrarci e che desidera qualcosa da noi. Ci illumina sul fatto che offrire la propria testimonianza, in fin dei conti, non sia una questione opzionale, ma che faccia parte del processo necessario di interiorizzazione della fede a cui tutti siamo invitati.

La samaritana può dimenticare l’anfora con la quale è andata al pozzo a cercare acqua, perché ha trovato l’acqua viva e non è più schiava di una necessità; la samaritana può rinunciare ai tentativi di trovare un uomo che la renda sicura e felice, perché al pozzo, il luogo dei matrimoni dei patriarchi nella Genesi, ha finalmente celebrato le nozze con l’unico uomo che ha saputo leggere la sua vita; la samaritana non ha più bisogno di un luogo in cui vivere la propria esperienza di fede, perché ha compreso che questo luogo è chiamata ad essere lei: per questo in lei, gli abitanti del villaggio troveranno un tramite per fare la loro esperienza di Dio. Dobbiamo tanto, allora, a questa donna e a tutto quello che continuamente ci consegna attraverso il suo incontro con Gesù.

Il modo di stare di Gesù di fronte allo specifico femminile, trova in questo episodio una sintesi potente che non ci può lasciare indifferenti: si tratta di avere il coraggio di ammettere che riguarda il modo di concepire la Chiesa stessa e la missione di evangelizzare. Dal ruolo della donna ancora e sempre un’anfora di salvezza per rimanere legati al salvatore del mondo.

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