L’orsa maggiore

L’orsa maggiore

I nostri occhi sono impediti a riconoscere il Signore risorto, proprio come ci ricorda l’episodio dei due di Emmaus raccontato dal Vangelo di Luca che leggeremo in questa III domenica del tempo di Pasqua anno A (Lc 24,13-35). Sono impediti allora, come oggi, a causa del modo che abbiamo di leggere la nostra storia personale e quella che si muove attorno a noi.

Ci fidiamo troppo delle sensazioni che ci attraversano, di quello che sentiamo nel preciso momento che stiamo vivendo: se siamo tristi, il mondo è triste, se siamo felici, tutti allora devono essere felici. Evidentemente riconoscere i sentimenti che ci accompagnano nei passaggi della vita è fondamentale, ma leggere in maniera univoca i fatti che attraversiamo alla luce della nostra emotività sembra essere un rischio più che un vero e proprio vantaggio.

Prendere di pancia la lettura degli avvenimenti, come dimostra la vicenda tutta trentina della drammatica morte di un uomo assalito da un’orsa, porta soltanto a generare improbabili schieramenti dove quello che conta è avere ragione e trovare rapide soluzioni. Una vicenda triste e dolorosa come quella vissuta da una povera famiglia che si è vista portare via, in maniera inaspettata un figlio, non può essere affrontata dall’opinione pubblica sul piano della pura risposta emotiva, ma dovrebbe diventare occasione per una seria riflessione sulle responsabilità e la gestione dei progetti che rigurdano un territorio e chi lo abita: la complessità della vicenda, che riguarda temi importanti come la biodevirsità, ma anche la sicurezza delle persone e la possibile convivenza tra uomini e animali nel rispetto delle proprie specificità, dovrebbe aiutare tutti a rileggere l’esperienza fin qui sviluppata per cogliere cosa non ha funzionato e cosa poter cambiare perché le cose possano procedere secondo le migliori intenzioni. Per fare questo però bisogna imparare a rileggere i fatti senza lasciarsi guidare dal sentire emotivo del momento.

Colpisce e commuove la lucidità della madre del ragazzo ucciso che arriva ad affermare che la vendetta nei confronti dell’orsa non restituisce la vita al figlio, né tantomeno risolve in qualche modo il problema.

La vicenda appena raccontata potrebbe sembrare non centrare nulla con l’episodio evangelico della prossima domenica, ma, a ben guardare, la dinamica descritta è la stessa che stanno vivendo i due discepoli lungo la strada di Emmaus: hanno il volto triste e discutono animatamente tra loro perché non sanno leggere la propria storia e le vicende vissute a Gerusalemme negli ultimi giorni, se non alla luce dei propri sentimenti e, in particolare, della propria delusione. Non possono riconoscere la presenza dell’inaspettato perché in realtà il proprio racconto gira a vuoto: non sono interessati a capire esattamente cos’è successo perché, in fondo, cercano solo di dare sfogo a quello che passa loro nel cuore. Se tutto si ferma allo stomaco il cammino si fa pesante e difficile e soprattutto lo sguardo diventa incapace di andare oltre ad una lettura retrospettiva delle cose. Ecco perché il Risorto li aiuta a dare una direzione al loro racconto, li invita a scegliere parole giuste e ordinate che possano rimettere in sesto i pensieri e riorientare i sentimenti.

I due, uno dei quali non ha nome perché tutti possano in qualche modo immedesimarsi in lui, devono affrontare la fatica del dare forma ai sentimenti attraverso le parole, per diventare capaci di ascoltare. Prima Gesù li fa sfogare e poi, dopo averli ricondotti ad una temperatura emotiva accettabile, li rigenera grazie all’ascolto: il cristiano fa costantemente esperienza di non potersi fidare di una prima lettura degli avvenimenti, sa di avere bisogno di rileggere la storia attraverso il filtro della Parola, quel filtro che Gesù stesso utilizza per fare entrare tutti nel mistero della sua resurrezione. Attraverso la Scrittura i due di Emmaus vengono invitati a rientrare in se stessi per rileggere la storia del proprio rapporto con Gesù alla luce di quello che hanno vissuto ma che non hanno compreso.

Quante cose viviamo nella nostra vita senza capirle, ma soltanto quando riusciamo a rileggerle allora ci si apre la prospettiva di un cambiamento, di una novità, di una vera e propria piccola resurrezione.

Abbiamo bisogno della Parola di Dio per non cadere nel rischio di una lettura banale e superficiale del reale. Abbiamo bisogno della Parola che racconta le storie delle vite degli uomini, per imparare a leggere la nostra vita in modo umano: questa pulizia emotiva è la necessaria condizione per accogliere la presenza di Dio che continua a spezzare il pane della condivisione con ogni viandante che gli chieda di rimanere. Appunto, il rimanere, lo stare attorno alla tavola per celebrare insieme il poter essere comunità, genera sentimenti nuovi, non più egoisticamente proiettati al proprio interno, ma sentimenti capaci di far ardere il cuore e rimettere subito in movimento la vita per aprirsi all’incontro con l’altro.

I due, staccatisi dalla comunità dei discepoli rimasti a Gerusalemme, ora, nonostante il buio della notte, non hanno paura di fare ritorno presso i propri fratelli e sorelle. La gioia che li muove li riporta alla comunità, vero antidoto alla tristezza di una realtà dove tutti accettano solo di stare in relazione con chi di volta in volta, la pensa solo come loro.

Una società divisa e paranoide come la nostra, ha bisogno di guardare almeno alla risurrezione come a quella dinamica che, chiedendo una costante rilettura delle vicende della vita, porta a non semplificare la lettura del reale appiattendolo sulla verità che sento mia nel momento che sto vivendo.

Proprio la complessità della vita chiede di non cedere alle interpretazioni che appaiono più evidenti ma che generano soltanto divisione: per i due di Emmaus era evidente che Gesù fosse morto, ma questa evidenza li stava conducendo alla tristezza. Ciò che, invece, appariva improbabile e difficile, la incredibile possibilità della risurrezione, non solo li ha rigenerati nella gioia, ma li ha anche restituiti alla pienezza della comunione.

Come cristiani che credono e sperano nella resurrezione, dobbiamo offrire il nostro indispensabile contributo alla ricostruzione di un tessuto sociale dove sia possibile sperare che a tutti venga data la reale opportunità di essere ascoltati e apprezzati per il contributo che possono portare.

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