Kit salvavita

Kit salvavita

Onestamente credo che sia difficile non avere un cuore turbato: l’alternativa che ci viene proposta dal Vangelo di Giovanni, in questa V domenica di Pasqua (Gv 14,1-12), fa riferimento al fatto che sia necessario coltivare la speranza in Dio e nel suo figlio Gesù. Si parla di un posto accogliente e sicuro, preparato da chi ha a cuore la nostra vita, una dimora nella casa del Padre dove potersi finalmente togliere le scarpe, riposare e smettere di affannarsi per vivere. Ma quando accadrà tutto questo? Quanto dobbiamo attendere ancora? Si è turbati perché si vive nell’incertezza, ma anche perché non ci si riesce a dare ragione di fatti inspiegabili: abbiamo sotto agli occhi tante immagini inquietanti, ma molte di esse, pur nella loro irragionevolezza, riusciamo a spiegarle, o almeno a trovare le illogiche ragioni che le motivano. In fondo le guerre non ci stupiscono, hanno pur sempre una loro logica anche se profondamente malata. La violenza gratuita, soprattutto quella verso gli indifesi, già ci inquieta un po’ di più e spesso rimaniamo senza parole; che dire, poi, di fatti e avvenimenti che per le modalità del tutto inaspettate con cui si realizzano sembrano gettare un’ombra inquietante sui nostri cuori, proprio perché aprono uno spaccato su una realtà che pensavamo inimmaginabile?

La tragedia del suicidio chiede sempre silenzio e uno spazio di grande attenzione e umanità: proprio per questo credo sia importante interrogarsi sul caso incredibile di quelle persone che via internet hanno acquistato il kit per il suicidio da un sedicente chef di Toronto. Si è appreso, in questi giorni, che anche in Italia una decina di persone, tra cui un’insegnante trovata morta ai primi di aprile, hanno pensato di porre fine alla propria vita e alle proprie sofferenze attraverso l’acquisto di un preparato chimico che hanno avuto il bisogno di comprare; fortunatamente gli altri acquirenti sono stati tutti intercettati e salvati dal lavoro investigativo della polizia. Perchè subire a tal punto la logica del mercato da chiedere una presunta salvezza definitiva proprio all’acquisto di qualcosa? Questa è la domanda inquietante che nasce anche dal fatto che l’ideatore di questo kit ha dichiarato di essersi inventato tutto questo a partire dalla convinzione di stare semplicemente aiutando la piena realizzazione della volontà di Dio. Davvero inquietante l’idea che anche la morte debba essere comprata: perfino la scelta che dovrebbe rappresentare la forma ultima e definitiva dell’affermarsi della propria volontà e libertà, quella del suicidio, appare mediata dal bisogno di passare da un’ultimo acquisto, come se questa fosse davvero l’ultima possibilità di affermare se stessi.

Difficile non rimanere turbati di fronte a questo drammatico vuoto, di fronte alla già inquietante idea che per arrivare alla morte, vista come unica prospettiva di salvezza, si debba per forza passare  attraverso la necessità di comprare qualcosa, come unico gesto che qualifichi la propria libertà.

Pur di fronte al massimo rispetto che si deve ad un simile dramma, mi pare che sia difficile non riconoscere che in una prospettiva dove l’uomo smetta di essere viator per diventare esclusivamente tecnologicus e consumatore, il tema della meta di una vita perda sempre più di consistenza fino a fare sfumare anche quello non meno importante della via che si sceglie su come stare al mondo.

Proprio il Vangelo di questa domenica prende sul serio le domande esistenziali e profonde di Tommaso e Filippo: dove andiamo e su quale strada stiamo camminando?

Già avere il coraggio di farsi queste domande e continuare a farsele nei momenti più bui e drammatici, non dobbiamo dimenticare che il contesto di questo dialogo è l’ultima cena e l’annuncio del tradimento di Pietro nel generale smarrimento dei dodici, è l’unica via per richiamare a noi stessi la nostra intangibile dignità.

L’unica possibilità per non cedere al turbamento del cuore è ripartire proprio da una domanda che chiede relazione, una domanda che sa interrogarsi sulla meta senza tralasciare la ricerca sul modo per arrivarci.

Di fronte alle cose inspiegabili che ci lasciano senza parole, dobbiamo tornare alle domande fondamentali di senso, a quelle domande di fronte alle quali Gesù non si tira indietro: la meta non è la morte, ma la casa della vita e la strada da percorrere non è quella che ci dobbiamo comprare, ma soltanto quella che è a disposizione gratuitamente se ci fidiamo di lui.

Accettare che lui sia la via, la verità e la vita può diminuire in qualche modo il peso e la forza della nostra libertà? Per il mondo di oggi è così inaccettabile questa prospettiva? Si può continuare a sperare al di fuori di un cammino che non sia una relazione?

Il kit salvavita non va acquistato, basta riconoscerlo.

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