Nel mondo fino al collo – Gv 17,11-19

Nel mondo fino al collo – Gv 17,11-19

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

La grande tentazione di ogni fede è quella della fuga. Ogni credenza cerca di attribuire un significato alla realtà che vada oltre a ciò che si vede e si tocca. Prova, cioè, a “unire i puntini”, fornisce un’interpretazione globale dell’esistenza, nonché un qualche criterio di azione.

E qui si cela un certo rischio, perché dallo “scorgere l’invisibile” a “scappare da ciò che si vede” il passo è breve. La fede, cioè, può prestarsi a essere male interpretata e divenire una sorta di scudo per coprire una volontà di fuga dal mondo, da ciò che non ci piace o ci mette in difficoltà. In tal modo essa diventa, a tutti gli effetti, una droga.

Lo facciamo tutti, in varia misura. Anche la fede cristiana, infatti, ha vissuto e vive questa forma caricaturale. Basta pensare al fenomeno dei catari, cioè dei “puri”, che predicavano una vita asettica e ascetica ben oltre il ragionevole buon senso. Tutto era basato sul fatto che essi, quali discepoli di Gesù, erano incontaminati, perfetti, intoccabili. Col risultato che la loro vita era tutto fuorché cristiana.

Perché – e ce lo ricorda Gesù nel vangelo di oggi – il cristiano non vive fuori dal mondo. Egli non è «del mondo», ma è «nel mondo». Gesù stesso non chiede al Padre che lo tolga dal mondo, ma chiede di essere «consacrato per i suoi discepoli».

Gesù, cioè, si fa santo per loro, per noi. E, in tal modo, mostra la via per l’autentica santità, cioè la vita libera e piena: farsi santo per qualcuno. A malincuore, dobbiamo accettare che la santità non si riduce a una filosofia o un’intuizione “insight”. Nessuno è santo per sé, la santità è sempre santità-per.

Il santo non è il pulito, l’intonso, il “perfectus” latino (cioè compiuto, autosufficiente). Il santo è l’irascibile o il quieto, il riflessivo o l’impetuoso, comunque colui che vive, si consuma, si sporca per gli altri, nel nome di Gesù, che significa, poi, nel nome dell’amore.

La strada è difficile per tutti, perché richiede di fronteggiare le proprie paure e le proprie fragilità. Ma è la strada per una libertà nuova, piena, davvero umana.

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