Veri sacerdoti – Lc 6,1-5

Veri sacerdoti – Lc 6,1-5

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Spesso, quando leggo questo brano, la mia concentrazione va tutta sul rapporto che Gesù ha con la Legge di Mosè. Oggi mi sono lasciato distrarre dalla parola «sacerdoti».

I «pani dell’offerta» (letteralmente i «pani della faccia») erano dodici focacce che il Levitico descrive minuziosamente. E aggiunge che «saranno riservate ad Aronne e ai suoi figli» (Lv 24,9). In altre parole, solo i sacerdoti possono mangiarne.

Quando Davide, nell’episodio che cita Gesù, ne mangia e ne distribuisce ai suoi compagni, sta mandando un doppio messaggio. Da un lato, che, come sottolinea Gesù, «l’uomo è signore del sabato»: la legge è stata data come strumento per amare Dio e il prossimo, non è l’obiettivo della vita.

E così, mutatis mutandis, anche la nostra morale: il nostro fine ultimo non è “fare tutte le cose per bene”, ma, attraverso una sempre più retta coscienza, crescere nel nostro essere figli amati e fratelli che si amano tra loro.

Il secondo messaggio è che, in un certo senso, sacerdoti lo sono tutti. Il sacerdozio del Primo Testamento è legato alla dimensione della separazione: ciò che è sacro e chi è addetto al sacro è qualcuno che sta in luoghi a parte, riservati, esclusivi.

Il sacerdozio che propone Gesù è una caratteristica che appartiene a ogni discepolo, perché ognuno è capace di intessere la propria relazione con Dio Padre. Noi tutti siamo sacerdoti perché possiamo essere vicini a ogni uomo, condividere il pane con loro e, insieme, avvicinarci insieme a Dio. Questo è il primissimo e fondamentale senso dell’essere sacerdoti.

La Chiesa chiama questa qualità sacerdotale «sacerdozio battesimale», per distinguerlo dal «sacerdozio ministeriale», che è proprio dei preti. Forse oggi dobbiamo riscoprire con grande serietà il nostro sacerdozio battesimale: siamo figli liberi di Dio, non siamo chiamati a delegare il sacro, in maniera deresponsabilizzante, solo a certe persone o rinchiuderlo solo in certi luoghi.

Essere «signori del sabato», la benedizione di libertà di Dio su ciascuno di noi, ci chiama a essere responsabili e coraggiosi.

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