Abito nuziale

Abito nuziale

Non c’è tregua se pure nel Vangelo si parla di uccisioni, assassini e città che vengono distrutte: vorremmo un po’ di pace, almeno alla domenica, almeno dalla Parola di Dio. Niente, anche nella messa di questa XXVIII domenica del Tempo ordinario (Mt 22,1-14) siamo costretti a rivivere immagini drammatiche, a fare i conti con scene violente e terribili come quelle a cui abbiamo assistito nel corso di questa settimana. Perfino la reazione del re di fronte al poveretto che si fa trovare senza l’abito nuziale pare spropositata, violenta, fuori misura. Perché siamo messi di fronte a tanta violenza?

C’è un rifiuto di fondo, di cui il Vangelo vuole parlare, che è all’origine del male vero che si radica con pervicacia e insistenza fino alle realtà più intime dell’agire umano: il rifiuto di Dio. La festa di nozze pensata per il figlio è la festa a cui Dio vorrebbe invitare tutti gli uomini, ma l’umanità preferisce occuparsi delle sue cose, preferisce rifiutare l’invito e in alcuni casi, addirittura, preferisce fare violenza e uccidere coloro che sono semplicemente inviati ad annunciare qualcosa di bello.

Colpisce l’insistenza del re che di fronte al drammatico rifiuto degli invitati, allarga a tutti l’invito, chiede ai servi di farsi banditori della gioia presso gli ultimi, gli emarginati, senza chiedere appartenenze specifiche, senza pretendere una qualche patente di moralità previa che definisca l’idoneità a poter partecipare. Tutti, cattivi e buoni, sono messi in condizione di prendere parte alla festa di nozze. Al rifiuto, Dio risponde sempre con una possibilità nuova che si allarga: mi piace pensare che ad ogni mio rifiuto ci sia la possibilità per molte più persone di dire sì alla proposta del Vangelo. Non è solo una prospettiva consolante, è l’intima convinzione che l’azione del Regno non si ferma di fronte ai nostri piccoli o grandi no. L’intima speranza che anch’io, come gli altri, impari prima o poi a trasformare le mie scuse e le mie pigrizie in un sì convinto alla vita.

In fondo essere invitati alle nozze del figlio, vuol dire essere riconosciuti come amici, poter prendere parte alla vita stessa della famiglia di Dio, diventare suoi famigliari.

Dietro all’immagine delle nozze c’è quella del Regno. Dietro a quella del rifiuto, la storia di un’umanità che invitata a vivere in pace e nella concordia, preferisce andare dietro ad altro, preferisce la guerra come strumento di affermazione del proprio potere e dei propri diritti. Nel rumore assordante delle armi la voce di Dio scompare: alle nostre orecchie arriva soltanto lo straziante grido degli indifesi, torturati e uccisi. É colpa di Dio se le cose vanno in questo modo o non è piuttosto l’inevitabile conseguenza del rifiuto costante e sistematico della sua proposta di vita? Cosa ne facciamo delle parole che lui ci ha affidato e che continua a metterci a disposizione perché possiamo capire che la vita può essere vissuta già come una festa?

La durezza con cui viene trattato l’uomo trovato senza abito nuziale nasce proprio da qui, dalla sua incapacità di avere delle risposte adeguate a queste domande. Non importa il tuo stato iniziale, non importa se sei stato invitato per primo o per ultimo o se hai i criteri per entrare nel novero degli invitati: ciò che conta è che tu capisca che sei chiamato a dare una risposta adeguata alla vita.

Non centra lo sfarzo o la ricchezza dell’abito: è una questione di consapevolezza. L’abito può essere anche povero e misero ma adeguato ad esprimere la gioia di partecipare. Immagino già l’espressione contrariata di chi ritiene queste riflessioni generiche e di difficile applicazione alle tragedie della vita: mi chiedo però se queste stesse persone hanno il coraggio e la voglia di chiedersi se l’abito che stanno indossando è adeguato alla vita che stanno conducendo o se finalmente non sia arrivato il momento di indossare un abito adatto a partecipare alla festa della vita.

Credere che c’è una festa da onorare è il modo che abbiamo per sovvertire la tendenza a lasciarsi andare, la tendenza a subire la vita come semplice dispiegarsi degli eventi. Onorare la vita come l’unica festa a cui vale davvero la pena di partecipare è l’unico contributo concreto che ciascuno, ovunque sia, può davvero offrire alla causa della pace. Non rispondere all’invito rischia di consegnare l’esistenza ai mostri peggiori e ai peggior incubi che la mente umana sappia partorire.

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