Pastore

Pastore

Domenica del buon Pastore: quarta domenica del tempo di Pasqua (Anno b, Gv 10,11-18). Dobbiamo liberare l’immagine del pastore da un’idea romantica e poetica che non trova corrispondenza nell’intento evangelico. Se Gesù ha sentito il bisogno di aggiungere un aggettivo (bello/buono) alla figura del pastore è proprio perché normalmente i pastori non erano né belli, né buoni; erano più simili alla figura del mercenario che, visto arrivare il pericolo, preferisce mettere in salvo se stesso piuttosto che proteggere il gregge che gli è stato affidato da altri, ma che non gli appartiene. La discriminante vera di cui parla Gesù, presentandosi come il Buon Pastore, ha a che fare con il dono della vita: Gesù conosce le pecore e sa che hanno bisogno che qualcuno doni la vita per loro; Gesù riconosce le pecore come davvero sue. La visione di un unico gregge che andrà formandosi nel momento in cui tutte le pecore riconosceranno la voce dell’unico vero pastore, è forse, tra le più grandiose che ci offre il vangelo. Qui Gesù parla del dono della sua vita come manifestazione piena dell’amore del Padre e proprio per questo, come espressione ultima del progetto di salvezza di Dio. Il dono della vita del Figlio è destinato a toccare l’esistenza dell’intera umanità e non solo quella di coloro che si dicono apertamente e immediatamente parte del gregge. C’è un mistero di salvezza che riguarda la creazione intera e che sembra essere evocato proprio dall’immagine del Dio pastore che offre la sua vita per dare la vita.

L’esatto contrario di quello che accade quando coloro che sono chiamati a guidare i popoli chiedono, soprattutto ai più giovani, di offrire la vita per la grandezza della nazione: un antico adagio dice che i vecchi dichiarano le guerre e i giovani sono costretti a farle. La tragedia a cui stiamo assistendo inermi di intere generazioni appartenenti ad alcuni popoli, che vengono falcidiate dall’invito a imbracciare le armi, ci ricorda che ci sono molti mercenari in giro, lupi che si spacciano per agnelli. La cosa viene resa ancora più drammatica e paradossale dal continuo richiamarsi a Dio di molti capi, presidenti, generali, ayatollah. Tutta genete che con grande facilità si dichiara dalla parte di Dio ma che smentisce, con altrettanta facilità, il proprio dichiararsi pastore, fuggendo, nascondendosi, mandando avanti gli altri.

In effetti, a pensarci bene, la guerra è il luogo naturale per i mercenari, ma è anche il luogo dove, chi ha compreso la logica del buon pastore, sa che, se sarà chiamato a dare la vita per la salvezza di qualcuno, allora la vita non gli sarà davvero tolta.

Scegliere di donare la vita è ciò che ci rende più simili a Dio, perfino nei contesti più drammatici dell’esistenza: Gesù dichiara che il Padre lo ama proprio perché lui sceglie di dare la vita per poi riprenderla di nuovo. Noi possiamo solo donare la vita, ma questo ci rende simili a Dio nella capacità di amare senza misura.

A differenza di Gesù noi non possiamo riprenderci la vita una volta donata: abbiamo bisogno di qualcuno che ce la restituisca o, meglio, che ce la rimetta a disposizione in maniera piena. Questa è la fede pasquale, la fede nel Buon Pastore che ci assicura tutta la bellezza di offrire se stesso. Bisogna passare da qui per realizzare una vita compiuta, una vita che nessuna arma può spezzare.

Una vita donata per il bene dell’altro è una vita che risponde pienamente alla chiamata di Dio. Ecco perché nella giornata del Buon Pastore la chiesa celebra la giornata mondiale delle vocazioni: proprio perché nella figura di un Pastore buono e bello che si offre agli altri perché anche loro possano riconoscersi buoni e belli, tutti gli uomini e tutte le donne, in ogni tempo e in ogni contesto, possano avere l’occasione di capire come realizzare la forma migliore della propria umanità.

Anche se la storia presenta il conto delle tragedie che l’accompagnano, ha un senso parlare di vocazione, oggi più che mai: nulla di sdolcinato o romantico nella vita di chi impara a rispondere alla voce del Pastore seguendolo sulla via del dono di sé.

Più saranno le pecore capaci di realizzarsi riconoscendo la voce del Pastore, meno spazio avranno mercenari, dittatori e guerrafondai.

Nella logica del vangelo, realizzare la vocazione alla chiamata di Dio comporta sempre la piena partecipazione al suo progetto di salvezza per il mondo intero: una vocazione realizzata è un segno di pace offerto alla meditazione di tutti.

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