Il potere del Re
Nel brano di vangelo dell’ultima domenica dell’anno liturgico, quella dedicata alla solennità di Cristo Re dell’Universo, l’anno b presenta un brano preso dal vangelo di Giovanni (Gv 18,33-37): pochi versetti dal celebre dialogo tra Gesù e Pilato, il governatore romano incaricato di esprimere una parola definitiva sulla sua possibile condanna a morte.
Il magistrato romano rappresenta il potere politico, la forza dell’impero, è il simbolo di un potere assoluto che ha la possibilità di decidere persino sulla vita o la morte delle persone: eppure di fronte a un uomo inerme accampa scuse, fa domande sempre più confuse; di fronte alla verità di Gesù che lo incalza con affermazioni decise e che parla di un modo di essere re che nessuno ha mai udito prima, rimane completamente spiazzato e senza parole. Dovrebbe essere Pilato a esprimere una sentenza alla fine di questo dialogo e invece sarà proprio Gesù a definire con chiarezza che lui è venuto a dare testimonianza definitiva alla verità. L’essere re di Gesù sorprende e destabilizza il potere, soprattutto quello più sicuro di sé, quello che non è disposto a fare concessioni, quello che normalmente pensa di essere al di sopra di tutto, quello che pretende di essere la verità. Il potere degli uomini è sempre espressione di “verità” molto parziali e spesso in contraddizione tra loro. La verità che Gesù viene a testimoniare con la sua parola e con la sua presenza è qualcosa di assoluto che genera unità, al contrario, le “verità” che gli uomini difendono portano allo scontro e alla guerra, alla divisione. I re della terra fanno guerra tra loro perché devono difendere i propri diritti e utilizzano come scusa quella di difendere i diritti dei loro popoli; Gesù invece è re alla maniera dell’unico re, il re di Israele, quel Dio che vuole la pace per tutti i popoli e che si offre come unica verità possibile a difesa della vita.
La confusione di Pilato e del potere che rappresenta, diventa la forma di contestazione più alta ed efficace all’idea che l’uomo possa stabilire da solo una giustizia vera e valida per tutti: se non si accetta di avere un riferimento ultimo e altro da sé, si finisce per asservire tutti coloro che non sono funzionali alla propria idea di potere, creando ingiustizie e disuguaglianze intollerabili. Il rischio è che si finisca per sostenere una società di persone che si credono libere, ma che fanno pagare la propria libertà agli altri che diventano schiavi.
Gesù non cede alla logica di questo potere e proprio per questo afferma di non aver bisogno di nessuno che lo difenda, di nessuno che perda la propria vita in una guerra a servizio del proprio padrone. Scegliendo di consegnarsi liberamente al potere che lo condannerà a morte, fa vedere di essere completamente padrone della propria vita, di essere veramente re.
Oggi vediamo costantemente che l’esercizio del potere da parte dei grandi della terra chiede continuamente sacrifici umani: sembra che davvero nulla sia cambiato dai tempi di Pilato. Se però ci lasciassimo interrogare dalle domande di Gesù, se lasciassimo che, come una spada, queste parole entrassero nel nostro cuore per portare un po’ di verità, allora anche il potere che abitualmente siamo chiamati a gestire potrebbe cambiare profondamente di segno: l’unico modo per vedere contestate in maniera radicale le logiche di questo mondo è accettare che ci siano sempre più persone disposte a lasciarsi mettere in discussione rispetto al modo di gestire il potere.
Ben venga allora un re che non chiede sacrifici e che ci fa vedere con verità e chiarezza cosa voglia dire regnare sulla propria vita.
Se da un lato abbiamo bisogno di essere contestati ogni volta che ci sentiamo potenti e in grado di dominare sugli altri, dall’altro abbiamo però bisogno di avere qualcuno che ci faccia vedere con chiarezza la possibilità che esista un modello davvero alternativo: Gesù è il nostro re non perché lo adoriamo e veneriamo come si faceva una volta con i re dell’Oriente, o come continuiamo a fare anche oggi con i tanti re che lo sono di fatto senza averne il nome, ma perché possiamo avere un punto di riferimento verso cui indirizzare la vita ogni volta in cui abbiamo chiara la percezione di stare usando male il potere che ci è concesso.