Il libero

Il libero

La prospettiva che il vangelo di Luca (Lc 17,5-10) ci offre per questa XXVII domenica del tempo ordinario è quella di diventare servi inutili. Chi di noi potrebbe trovare una qualche gioia o soddisfazione nel diventare inutile? Fin da bambini ci viene detto di cercare di essere utili: gran parte della nostra identità viene costruita su questo e cioè sulla possibilità di servire a qualcuno, magari in maniera del tutto gratuita, ma comunque di essere utili per qualcuno. L’identità della società in cui viviamo trova una sua ragione proprio a partire da qui, dal fatto che il livello di utilità delle cose e delle persone finisce per condizionare ogni altro livello dell’esistenza. Il paradosso davanti a cui ci mette il vangelo ci interroga e ci ferisce, perché ci costringe a ragionare in modo insolito. Cosa ci sta chiedendo davvero il vangelo?

Per prima cosa di verificare se l’unico criterio della vita debba essere quello dell’utile: se così fosse molte cose di cui sentiamo l’importanza non avrebbero senso, proprio perché oggettivamente inutili, soprattutto se calate in un contesto di emergenze come quelle che stiamo vivendo.

Serve a qualcosa ascoltare musica, leggere un libro, vedere un film o parlare di arte, esercitarsi a pensare, se non a diventare veramente quello che dovremmo essere, cioè più umani?

In secondo luogo, evidentemente, il vangelo non pone una falsa alternativa tra il fare e il non fare qualcosa per sentirsi utili: ci viene detto di fare ma senza cercare un riconoscimento, senza pretendere che gli altri diano dignità al nostro impegno. Fare il bene deve trovare una giustificazione in sé, ma fare il bene chiede di dare ascolto alle istanze di Dio e del vangelo: ascoltare la parola che ci consegna il modo di realizzare il bene per noi e per l’umanità è un esercizio di obbedienza che forza il nostro orgoglio. Diventare servi inutili, allora, vuol dire diventare persone capaci di ascolto. A questo ci vuole portare il paradosso del vangelo.

Sapere di essere servi inutili è la condizione del credente che si apre alla constatazione che la fede chiede ascolto e obbedienza, capacità di riconoscere la forza di una parola che non viene da noi.

Stare in una relazione di totale fiducia che ci innesta nella vita di Dio, tanto da essere sicuri che tutto quello che ci verrà detto sarà per il nostro bene, ci mette nella prospettiva adeguata: non le nostre parole, ma quella di Dio chiede di essere indagata per restituire forza e verità anche a quello che noi diciamo e facciamo.

Il diventare servi inutili, allora, non si offre come un invito alla passività e all’ignavia. Tutt’altro: siamo di fronte alla dichiarazione della potenza incredibile che si manifesta a partire dalla fede autentica, quella che si innesta sull’ascolto e l’obbedienza dovuta solo a Dio e non ai potenti della terra. Un grido di libertà che ci ricorda come la fede vissuta realizza perfino l’impossibile.

C’è una figura nello sport che si avvicina molto a quella del servo inutile e che ne spiega la logica: in settimana abbiamo celebrato le gesta della nazionale italiana di pallavolo, vincitrice del mondiale per la seconda volta consecutiva. In questa straordinaria squadra e in ogni squadra di pallavolo gioca il libero, figura decisamente poco appariscente nello sviluppo del gioco, se non quando realizza l’impossibile, cioè evitare che giocate straordinarie delle squadre avversarie tocchino terra nel proprio campo. Il libero si mette a disposizione degli altri, vive in funzione dello spettacolo che altri normalmente realizzano, ma lo fa in spirito di obbedienza alla squadra: proprio per questo sa realizzare anche cose straordinarie che sembrano impossibili quando viene chiamato in causa. Il credente non dovrebbe saper fare altrettanto proprio in virtù dell’ascolto che deve a Dio e agli altri ogni giorno?

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